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Sulle pagine di Repubblica esce una interessante intervista a Christian Riganò, il muratore che ha fatto rinascere la Fiorentina per poi tornare muratore:

A Firenze non sono più Christian, mai nessuno che mi abbia chiamato così. Per tutti sono “il Riga” o “il bomber”. Vivo in mezzo a loro da 22 anni, ma è una festa tutti i giorni, come se fossi tornato in città per la prima volta. Lo dico sempre ai fiorentini: dalla vostra tragedia calcistica è nata la mia fortuna.

Giocavo in C1 nel Taranto, avevo segnato 27 gol in campionato ma ho subito accettato l’offerta della Fiorentina (nonostante fosse fallita e dovessi riaprire dalla C2). Ero certo che i Della Valle puntassero a risalire in alto il prima possibile. In città c’era tristezza, depressione calcistica. Una squadra con quella storia quasi cancellata, fallita per due spiccioletti, quando poi negli anni successivi si sono visti salvataggi spericolati… Nella prima stagione ho segnato 30 gol, abbiamo iniziato insieme il cammino che ci ha portato in Serie A nel 2004 ed è scoccata la scintilla.

Dio pedona Riga-no!

Che poi nella vita non ho dovuto perdonare chissà chi, mai avuto grosse beghe. Comunque quando arrivava una palla dentro l’area, più o meno finiva in quella maniera lì, era sempre gol. A Firenze, come a Taranto e a Messina. E pensare che a Lipari avevo iniziato giocando in difesa. Avevo vent’anni ed eravamo in difficoltà in attacco: qualcuno era andato via, altri per lavoro non c’erano mai. Il centravanti titolare si è fatto male e io sono andato a sostituirlo: una figata pazzesca. Ho segnato subito e ho pensato: là dietro non ci torno più, si sta così bene qui davanti, non fai un cazzo e gli altri corrono pure ad abbracciarti.

Il trasferimento in Spagna

Che poi nella vita non ho dovuto perdonare chissà chi, mai avuto grosse beghe. Comunque quando arrivava una palla dentro l’area, più o meno finiva in quella maniera lì, era sempre gol. A Firenze, come a Taranto e a Messina. E pensare che a Lipari avevo iniziato giocando in difesa. Avevo vent’anni ed eravamo in difficoltà in attacco: qualcuno era andato via, altri per lavoro non c’erano mai. Il centravanti titolare si è fatto male e io sono andato a sostituirlo: una figata pazzesca. Ho segnato subito e ho pensato: là dietro non ci torno più, si sta così bene qui davanti, non fai un cazzo e gli altri corrono pure ad abbracciarti.

L’esordio con la Fiorentina in A a 30 anni

Tanti mi dicono: “Se fossi arrivato prima, magari a 25 anni, avresti fatto un’altra carriera”. E io: “E se non fossi arrivato proprio?”. Io sono nato a Lipari, dove il calcio quasi non c’era, era divertimento e basta. Potevi sperare di arrivare in Eccellenza, non di più. Per arrampicarmi in alto non ho dovuto sbagliare nemmeno una stagione, gol dopo gol ho scalato la montagna. I record non mi interessano, ma posso dire che mi manca soltanto la terza categoria: se avessi giocato e segnato anche lì, avrei partecipato e fatto gol in tutti i campionati italiani.

La mancata Nazionale

Il mio unico cruccio. Sarebbe stata la chiusura del cerchio, il coronamento di una carriera travagliata, conquistata. A fine 2006 l’Italia giocò in amichevole quando ero capocannoniere in A col Messina. Ci ho sperato, ma il ct Donadoni non mi ha chiamato. Pazienza. Ai miei tempi un attaccante per arrivare in Nazionale doveva sperare in un’epidemia, dovevano ammalarsi tutti. Davanti a me c’erano Del Piero, Totti, Toni, Di Natale, Iaquinta, Inzaghi. E qualcuno rimaneva a casa. Oggi Spalletti prende quello che offre il mercato: Scamacca si è fatto male, ci sono Retegui, Raspadori, magari Lucca in cui rivedo qualcosa di me come centravanti da area. Li chiama tutti e tre e non ha problemi.

La “carriera” da allenatore

Ho due patentini da tecnico, ho allenato nei dilettanti, ho vinto anche qualche campionato, ma non ho mai ricevuto telefonate per salire di categoria. Forse per il mio carattere: se mi dai una responsabilità, voglio decidere io, senza compromessi o interferenze. Se non vado bene, mandami pure via, non c’è problema. Questo vale nel calcio ma anche nella vita, in generale.

Il ritorno al lavoro da muratore

Mi sveglio alle 6.30 del mattino, la giornata è lunga fino alle sei di sera, purtroppo fumo più di prima. A Firenze ho trovato la mia dimensione. Giro con lo scooter e in due minuti arrivo dappertutto, la città è piccolina. Non c’è grande traffico, magari adesso un po’ di più perché stanno facendo le tranvie. E poi, lavoro permettendo, vado ovunque quando mi chiamano, nelle tv locali o alle serate dei viola club. Ma se chiamano me, vuol dire che non riescono ad arrivare a qualche giocatore di oggi, quello a cui un ragazzino di dieci anni chiederebbe un autografo. Secondo me i calciatori di oggi dovrebbero essere più disponibili: troppo spesso non capiscono quanto sono fortunati, con un mestiere così bello, che ti fa guadagnare bene e ti permette di lavorare solo un paio di ore al giorno, quasi sempre con il pallone tra i piedi, sai che sacrificio. Devi sempre pensare che nulla è per sempre, che un giorno il calcio finisce.

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